Fino
ad oggi hanno avuto il controllo della Narrazione, ma questa è la
realtà! Una realtà che noi tutti dobbiamo gridare ai quattro venti con
tutta la forza dei nostri polmoni!
Sembra però che la Narrazione, di fronte alla evidenza delle immagini che ciascuno può catturare con un modestissimo cellulare, stia loro sfuggendo di mano, malgrado le illimitate risorsi in mezzi, danari ed uomini di cui dispongono. Leggi qui! Questo ci devo determinare maggiormente per una lotta di Contro-Narrazione: nessuna delle loro menzogne deve restare in piedi. Tutto, proprio tutto, assolutamente tutto, in ogni sua minima parte, deve essere revisionato e verificato. La Menzogna manifesta di oggi è la prova che ci hanno sempre mentito!
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Una
testimonianza scioccante della giornalista detenuta Farah Abu Ayash:
“Mi hanno rinchiusa sottoterra con gli scarafaggi e sono delusa dai miei
colleghi”.
Il suo avvocato,
Hassan Abbadi, che è riuscito a farle visita nella prigione di Damon,
afferma che ciò che ha sentito da Farah non è solo una dichiarazione
legale, ma una testimonianza vivente dei brutali abusi che ha subito dal
momento del suo arresto.
Secondo il messaggio che ha trasmesso tramite il suo avvocato, Farah dichiara:
“Ho
vissuto cose terribili. L'arresto è avvenuto all'improvviso, nel cuore
della notte. C'erano tantissimi soldati, due soldatesse, molte jeep e
veicoli “boz al-nimer”. Non avrei mai pensato di essere io l'obiettivo.
Mi hanno portato a Karmi Tzur, mi hanno legato a una sedia all'aperto,
accanto a un tubo che mi gocciolava addosso acqua sporca”.
Continua descrivendo la tortura:
“Le
soldatesse mi hanno stretto i bracciali di plastica bianca sui polsi
fino a farmi gonfiare le arterie. È arrivato un comandante con delle
pinze per tagliarli. I cani mi strappavano i pantaloni. Poi ‘Atzion’,
una stanza piena di scatole elettriche. Continuavano a cercare di negare
il fatto che sono una giornalista. Mi hanno costretto a dare loro la
password del mio telefono. Il mio lavoro è sempre stato assolutamente
trasparente”.
Descrive il suo trasferimento al centro di interrogatorio di Moscobiya:
«Moscobiya
è un film dell'orrore. Mi hanno spinta dentro... mi hanno ammanettato
mani e piedi, poi mi hanno messo una pesante catena sulle spalle. Le
guardie Nahshon mi hanno picchiata. Una soldatessa mi ha afferrata per i
capelli, mi ha sbattuto la testa contro il muro e mi ha detto: “Bacia
la bandiera israeliana”. Mi sono rifiutata. Mi ha dato un calcio. Stavo
già male».
Aggiunge, con voce tremante:
“Mi
hanno portato a Ramla, in una stanza abbandonata dove hanno spento le
luci. Ho urlato; poi in una cella sotterranea, piena di scarafaggi,
insetti, cimici. Ho pianto tutta la notte. Avevo tutto il corpo e il
viso coperti di scarafaggi; i segni sono ancora lì”.
Farah
racconta di essere stata poi riportata a Moscobiya, con ripetuti
svenimenti per il freddo. Il trasporto nel “bosta” è stato “terrificante
e brutale”. Dopo 55 giorni è stata trasferita alla prigione di Damon.
Parlando della sua delusione per il silenzio che circonda il suo caso, dice:
“Sono
delusa dai miei colleghi giornalisti. Non hanno fatto abbastanza rumore
né esercitato abbastanza pressione per il mio rilascio... Sono stata
arrestata a causa del mio lavoro. È loro dovere portare la mia voce a
tutti i giornalisti liberi”.
Women For Palestine, 17 novembre 2025
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