Sommario: Premessa esplicativa. – 1. Attacco a Francesca in Lapide. – 2. La Rainews24 un boccone troppo grosso da divorare?. – 3. Il “solito” Sergio Luzzatto. – (segue)
Israele si trova in guerra con il mondo arabo fin dalla fondazione di un suo stato in Palestina nel 1948. Una pace appare ancora oggi assai lontana e forse addirittura impossibile. Alle radici di questo conflitto si pone abitualmente la Dichiarazione Balfour del 1917, ma a mio avviso occorre risalire più indietro nel tempo, cioè al 1840, quando Lord Palmerston patrocinava la creazione di un “focolare ebraico” in Palestina allo scopo di disgregare l’Impero ottomano, con un insediamento ebraico in Palestina, cui era affidato lo scopo di aprire una porta verso l’Oriente. Nello stesso anno una politica identica veniva perseguita dall’Inghilterra contro l’Impero cinese nel conflitto rimasto tristemente noto come “guerra dell’oppio”.
Nell’attuale endemico conflitto arabo-israeliano gli Ebrei italiani raccolti intorno alla testata “Informazione Corretta” usano tutta la loro capacità di pressione per far schierare l’opinione pubblica italiana dalla parte di Israele, parte belligerante contro tutto il mondo arabo sempre più devastato da una guerra di aggressione, desumibile come tale dal fatto oggettivo che in territorio arabo si trovano soldati statunitensi, inglesi, etc., mentre nessun soldato di nessun stato arabo si trova in America o in Europa e meno che mai in Italia: tutto il resto è chiacchiera ideologica con cui oggi si tende a nascondere la realtà della guerra, antica quanto l’uomo stesso. La tecnica di pressione dei Corretti Informatori è semplice. Attraverso una rassegna stampa quotidiana, estesa a tutto ciò che i motori di ricerca segnalano su temi sensibili, e quindi anche anche a notizie tratte da Blogs privati.

La redazione di “Informazione Corretta” agisce in Italia alla stregua di un servizio di retrovia dell’esercito belligerante israeliano. Dato come presupposto indiscutibile tutto ciò che lo Stato di Israele dichiara esser suo diritto e verità indiscussa ed indiscutibile, dato in pratica come cosa ovvia che l’Italia non possa che essere parte cobelligerante insieme con Israele, la suddetta Redazione segnala ad un suo elenco di Lapidatori tutti quegli articoli di stampa o di blogs che dalla stessa non vengono giudicati “corretti” sul piano informativo, o meglio propagandistico, ovvero utili alla causa di Israele. I Lapidatori spesso non si curano neppure di leggere i testi, ma sono pronti a scagliar pietre soddisfacendo in tal modo i più bassi istinti umani. Se chi scrive l’articolo “incorretto” è un redattore de “La Stampa”, ad esempio, il suo Caporedattore o il Direttore o il Proprietario della testata “La Stampa”, o chiunque si immagini possa esercitare un superiore controllo o un’influenza, si trova a ricevere una sequela di “pietre” bibliche, più o meno colorate, da parte degli iscritti alla Mailing List di «Informazione Corretta». Nella Mailing List è di norma indicato con un mailto l’indirizzo sul quale condurre una vera e propria lapidazione contro il malcapitato, che dapprima non si accorge neppure del meccanismo. Basta però comprenderlo per potersene difendere.
A questo scopo, offrendo un servizio agli ignari lapidati, ma anche per smascherare questa ignobile tecnica, una vera e propria lapidazione desunta dall’Antico Testamento, vengono qui di seguito raccolte una silloge di siffatti “capolavori”. Non si tratterà di una cernita sistematica – non ne avrei né il tempo né la voglia – ma di una scelta sporadica e causale di esempi significativi. Si potrà valutare il tal modo il grado di penetrazione di una siffatta lobby, che di recente è emersa anche nelle vicende teramane, culminate in un vero e proprio assalto squadristico di orde assatanate. Personalmente, oltre ad avere sperimentato le attenzioni dei Corretti Informatori, ho ascoltato dalle registrazioni di Radio Radicale, disponibili in archivio, un’inconsapevole chiamata di correità da parte del gruppo ebraico Nirenstein-Panella-Ottolenghi, etc., del lavoro lodevolmente valutato da parte di Informazione Corretta e di quanti più o meno dichiaratamente stanno dietro alla Testata.
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Senza entrare nel merito della notizia il “report” del Corretto Informatore segnala a chi sta in più alto loco, forse un Ebreo, che “ormai” è diventata un’abitudine quella di Francesca Sforza, che evidentemente posta da poco alla direzione delle pagine estere, non saprebbe fare il suo lavoro dando “una corretta informazione” ed addirittura “disinformando”. Mi dicono di questa Francesca che non è alle prime armi nel suo mestiere e che già sua sponte è una filoisraeliana, ma forse per gli assatanati sionisti non lo è ancora abbastanza. La Stampa dovrebbe diventare un foglio ebraico per soli ebrei. I peggiori nemici degli ebrei sono gli ebrei stessi che non si allineano alle direttive di guerra. Sono numerosi i casi di questo genere e se ne lamentava, ad esempio, Ottolenghi nel corso della presentazione del suo libro in Roma, alla quale mi son trovato casualmente ad assistere. Chi valuta che l’informazione non sia “corretta” ed addirittura “disinformi”? Naturalmente quelli della Corretta Informazione, organo preposto a ciò che è da interndersi per corretto. Se non che ci stanno a fare? Come fanno ad essere persuasivi? Con le pietre! Più ne lanciano e più sono persuasivi. È da immaginare che chi è preposto a Francesca, vedendosi arrivare una grandine di missive tutte uguali ed intonate su uno stesso unisono, possa chiedere all’ignara Francesca: «Ma cosa mi stai combinando?». Se poi (chi può dirlo il proprietario della testata La Stampa, o il direttore o chiunque conti sopra Francesca, è per caso un ebreo, non necessariamente massonizzato, le pietre potrebbero risultare efficaci. Qui siamo nel campo delle congetture. Non dispongo dei servizi segreti israeliani e dei loro archivi. Quello che è certo, a mio modo di vedere, che è altamente scorretta una vera e pratica istigazione al linciaggio come quella sistematicamente adottata dai Corretti Informatori. La fondatezza di ciò che dico posso io stesso dimostrarla essendo stata esercitata nei miei confronti e non ho motivo di ritenere che il mio sia stato l’unico caso. Chi è stato vittima di un’azione indegna non vuole che vi siano altre vittime.
Ma veniamo adesso anche alla redazione della notizia quale avrebbe dovuto essere secondo i Corretti Informatori. Ci sono cinque palestinesi uccisi? Chi dà la notizia comunica un fatto: cinque morti palestinesi! No, per i Corretti Informatori non è così che si fa giornalismo. Occorre dire che quei morti se lo meritavano ad essere morti: ben gli sta! Occorre dire perché e come sono morti. Non basta che siano morti. Accanto alla notizia della morte bisogna dare contestualmente la notizia del perché sono morti, attingendo magari il perché della morte direttamente alla spiegazione fornita dal governo israeliano oppure dalla sua Succursale italiana, cioè la Corretta Informazione. Francesca deve tornare a fare scuola di giornalismo e per adesso è bene che venga rimossa da un incarico troppo delicato per lei. La donna che piange? L’immagine è troppo grande rispetto al titolo ed al testo della notizia! Bisogna per lo meno rimpicciolire l’immagine. Ma poi perché far vedere una donna palestinese che piange? Non ci sono anche donne israeliane che qualche volta avranno pur pianto? Queste bisogna pubblicare. Magari accanto ai morti palestinesi ammazzati. Se poi qualcuno confonde la donna israeliana con una parente dei morti palestinesi, si potrà muovere a Francesca anche una più grave contestazione ed il suo licenziamento sarà cosa assicurata. Allo stesso modo in cui Pacifici chiede a Mussi la testa di Moffa i Corretti Informatori potranno chiedere la testa di Francesca alla proprietà (ebraica?) della Stampa. E che la Stampa come il Manifesto?! Scrivete scrivete, cari Lapidatori! Scagliate le vostre pietre così si potrà ristabilire la corretta informazione, tanto peggiorata da quando a dirigere gli esteri hanno messo Francesca. Sia pure in forma di satira, ancora permessa in Italia, credo di aver fornito un esempio dei criteri di “correttezza” seguiti dalla Corretta Informazione, una moderna Santa Inquisizione che pensavano fosse cosa del passato e propria della chiesa cattolica.
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La Rainews24 un boccone troppo grosso da divorare?
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L'esercito israeliano ha arrestato questa notte in Cisgiordania Wasfi Qabba, ministro del governo palestinese esponente del movimento islamico Hamas.
I militari di Tsahal sarebbero entrati nella citta' di Jenin a bordo di una ventina di jeep. Il ministro sarebbe stato prelevato nella propria abitazione. L'arresto e' stato confermato dalla moglie del ministro, Nazmieh.
Giovedi' scorso, militari dello Stato ebraico avevano arrestato in Cisgiordania piu' di 30 dirigenti di Hamas, considerato da Israele un'organizzazione terroristica. Tra i leader arrestati c'erano alcuni sindaci e un altro ministro: Nassaredin al-Shaer, titolare dell'Istruzione.
Le forze armate israeliane hanno confermato le operazioni, sottolineando pero' che il premier di Hamas non era un bersaglio: ad essere colpite sono state due postazioni delle milizie estremiste nel campo profughi di Shati.
Nella notte sono proseguiti anche i raid aerei israeliani sulla striscia di Gaza. Due attivisti di Hamas sono stati uccisi, e un terzo e' considerato "clinicamente morto".
Per inviare il proprio parere a Rainews24, cliccare sulla e-mail sottostante.
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Leggiamo sempre con apprensione i pezzi di Sergio Luzzatto sul CORRIERE della SERA, chiedendoci dove mai andrà a parare. Nell' articolo di oggi, 26/05/2007, ha scritto una recensione ad un ottimo libro, la prima completa biografia di Zeev Jabotinsky, di uno storico italiano, Vincenzo Pinto, per questo la pubblichiamo, con l'invito ai nostri lettori di non lasciarsela sfuggire (Utet editore,€ 22,50). Per il resto è il solito Luzzatto, che si salva la coscienza verso il fondo, con le solite accuse a Z.J. di essere fascista/nazista e le solite solfe. Con alla fine la citazione di un altro libro,che racconta la storia degli ultimi cent'anni con estrema disinvoltura, leggasi raccontando un sacco di fandonie, come dire, scusatemi se ho scritto di Zeev Jabotinsky, mi riscatto con la citazione di un titolo di quelli che piacciono a me, cioè pregiudizialmente conto Israele.
Ecco il suo articolo, pregiudiziale anche nel titolo " Jabotinky, all'origine del sionismo nazionalista" ( urca, ma non era il sionismo a voler creare una Nazione ?) )
Una cartolina
di SERGIO LUZZATTO
Sognava la fraternità tra nazioni, ma sostenne la teoria di una sostanziale impossibilità della convivenza con gli arabi in Palestina «Non abbiamo nulla di cui scusarci. Siamo un popolo come gli altri e non abbiamo alcuna voglia di essere migliori di ciò che siamo». Dixit Vladimir Zeev Jabotinsky, ebreo russo, alla vigilia della gigantesca conflagrazione, la Grande guerra, che avrebbe offerto agli israeliti della diaspora l'occasione storica per coronare il sogno millenario di un ritorno in Palestina. E aggiungeva, Jabotinsky: «Di piacere o meno alla gente ci è del tutto indifferente. Non abbiamo avuto, né abbiamo omicidi rituali. Ma, se volete credere che esista "questa setta", prego, accomodatevi pure! Che c'importa?».
Studente universitario, giornalista, romanziere, agitatore, più ancora che un ebreo russo Vladimir Jabotinsky era un apolide e un rivoluzionario di professione, quali poté produrne una generazione fattasi adulta nell'età della Seconda Internazionale e la cui maturità coincise con il trauma della prima guerra mondiale: con la fine del «mondo di ieri» per tranquilli ebrei della Mitteleuropa dello stampo di Stefan Zweig, con l'inizio del mondo di domani per sionisti impazienti come Jabotinsky. Questi, nato nel 1880 entro il vivacissimo melting pot borghese di Odessa, era destinato a sentirsi diverso sia dai russi di un impero zarista declinante, sia dagli ebrei di estrazione proletaria, ancorati alla lingua yiddish e all'orizzonte ristretto dello shtetl.
La vita di Jabotinsky, morto a New York nel 1940 dopo un'esistenza intera di viaggi e di lotte, di scritture e di sconfitte, è stata ora ricostruita da Vincenzo Pinto in una minuziosa biografia della Utet, Imparare a sparare. Dove il titolo allude a una raccomandazione che Jabotinsky ebbe a trasmettere, già negli anni Venti, al futuro mentore dei neocon americani, Leo Strauss; ma dove il biografo si guarda dal ridurre il personaggio alle sole dimensioni di un teorico della violenza politica, insistendo piuttosto sul significato culturale più profondo del contributo di Jabotinsky alla causa del sionismo: il tentativo di fare dell'ebreo un uomo normale. Cioè non tanto, o non soltanto, un cittadino-modello, secondo l'ideale settecentesco dell'illuminismo ebraico, ma un essere umano come gli altri, capace di far bene come pure di far male. Non necessariamente una colomba, un agnello sacrificale, una vittima designata, ma all'occorrenza un falco: un uomo in grado di mostrare i muscoli, e magari di colpire per primo.
Dopo il 1914, quando le circostanze della Grande guerra esposero l'impero turco alla sua crisi ultima e definitiva, il sogno del movimento sionista di radunare gli israeliti della diaspora in uno Stato ebraico parve guadagnare in concretezza, nella misura in cui la dissoluzione dell'autorità ottomana in Medio Oriente schiudeva la possibilità di un insediamento degli ebrei in Palestina. Jabotinsky fu tra i primi a intuirlo: nel mondo nuovo del dopoguerra, i discendenti di David non avrebbero più dovuto affaticarsi intorno a prospettive cervellotiche come quella di uno Stato ebraico in Uganda. Ormai l'obiettivo poteva ben essere la Palestina; e l'interlocutore politico- diplomatico doveva essere la Gran Bretagna, il paese di lord Balfour e del riconoscimento ufficiale (nel 1917) della legittimità delle richieste sioniste. Così, Jabotinsky figurò tra gli artefici della Legione Ebraica, che nel 1918 si affiancò all'esercito britannico nella campagna di liberazione di Gerusalemme dal giogo ottomano.
Durante gli anni successivi, muovendosi infaticabilmente fra la Palestina del mandato britannico e i quattro angoli della diaspora ebraica, Berlino o Londra, Riga o Parigi, Roma o New York, Jabotinsky mise a punto la dottrina del cosiddetto «muro di ferro», che avrebbe fatto di lui il capostipite di una discendenza sionista di destra destinata a prolungarsi, attraverso uomini come Begin e Shamir, fino ad Ariel Sharon: che avrebbe fatto di lui, insomma, il padre putativo del Likud. Di contro al sionismo laburista di un David Ben-Gurion e al sionismo liberale di un Chaim Weizmann, Jabotinsky sostenne la teoria di una sostanziale incompatibilità fra gli ebrei e gli arabi in terra palestinese. Le successive ondate migratorie di sionisti dovevano garantire loro un primato demografico sugli arabi, e l'addestramento sistematico dei pionieri all'uso delle armi doveva garantirne il primato militare. In tal modo, imponendo unilateralmente la loro presenza ai vicini, gli ebrei avrebbero posto le premesse per la nascita di un Grande Israele esteso su entrambe le sponde del Giordano.
Largamente minoritarie all'interno del movimento sionista, le teorizzazioni di Jabotinsky produssero comunque la nascita dapprima del Betar, poi dell'Irgun: l'uno, un gruppo giovanile ebraico ultranazionalista attivo soprattutto in Europa orientale, l'altra, una milizia clandestina di terroristi ebrei operativi nella Palestina degli anni Trenta. E quando certa stampa internazionale prese a parlare, con riferimento ai militanti del Betar e dell'Irgun, di «fascisti di Sion», i dinieghi di Jabotinsky non bastarono a tacitare le accuse di Weizmann e Ben-Gurion, che parlarono essi stessi di fascismo ebraico, e arrivarono a definire la versione di destra del sionismo come una forma larvata di «hitlerismo». Ma non era per questo che Jabotinsky si sentiva nato: per inquadrare milizie parafasciste di camicie brune quant'era bruna la terra di Israele, o per organizzare sanguinosi attentati dinamitardi sui mercati arabi. Il suo era stato, e restava, l'ideale di un nazionalista sui generis; un nazionalista cosmopolita, che nell'Odessa di tardo Ottocento aveva sognato un sionismo della fraternità tra nazioni, immaginando il concerto delle nazioni come un'orchestra del genere umano. Nel 1938, Jabotinsky denunciò il «desiderio di armi e di sangue» che rischiava di corrompere il sionismo fino a farlo marcire. E la morte, due anni dopo, gli risparmiò l'esperienza di tutto il resto: la distruzione degli ebrei d'Europa, sulle ceneri dei quali sarebbe sorto lo Stato di Israele.
Chi voglia poi interrogarsi sulla continuità ideologica che tiene unite la dottrina di Jabotinsky sul «muro di ferro» e la decisione di Ariel Sharon di frapporre tra arabi ed ebrei la cosiddetta «barriera di sicurezza», un muro di cemento, di reti elettroniche, di filo spinato, lungo 750 chilometri, può leggere un altro libro, appena uscito da Einaudi: Il conflitto israelo-palestinese, dello storico americano James Gelvin. Altrettanto disincantato che utile, un compendio della moderna Guerra dei Cent'Anni.
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