Alla cortese attenzione della Redazione
COMUNICATO STAMPA
NESSUN PORTO PER IL GENOCIDIO
Oggi, 4 dicembre, giorno della Liberazione di Ravenna dal nazifascismo, chiediamo che il nostro porto si liberi dai traffici di armi e dall'economia del genocidio, come chiede la campagna internazionale “No Harbour for Genocide”.
Venerdì 28 novembre, in occasione dello sciopero generale indetto dai sindacati di base contro le politiche economiche del governo Meloni, abbiamo bloccato (in modo nonviolento) il transito di tir nei pressi del terminal gestito da SAPIR (ente a partecipazione pubblica), per denunciare il traffico di armi e di ogni tipo di materiale verso le colonie illegali in Palestina. Un traffico che da anni continua indisturbato, in violazione del diritto internazionale e della legge 185 del 1990, che vieta export e transito di armi verso paesi in conflitto o responsabili di violazioni dei diritti umani. Abbiamo protestato contro un’economia di guerra che impoverisce la popolazione, rende il nostro paese complice di un sistema coloniale e afferma lo stretto legame tra militarizzazione, negazionismo climatico, dipendenza dalle fonti energetiche fossili, distruzione dell’ambiente, censura e repressione.
Come svela il Dossier di Altreconomia "La flotta del Genocidio" pubblicato in questi giorni, il porto di Ravenna ha inviato a Israele e paesi del Medio Oriente dal gennaio 2024 al settembre 2025 oltre 620 tonnellate di munizioni ed esplosivi, 48 mila tonnellate di nitrato di ammonio e altri precursori di esplosivo, migliaia di tonnellate di liquidi e gas infiammabili. Dall'ottobre 2023, dall'inizio del genocidio a Gaza, si nota un aumento vertiginoso di queste spedizioni: carichi spesso scortati dalle forze dell'ordine, su disposizione del Prefetto. Non solo verso Israele, ma anche verso gli Emirati Arabi Uniti, che sono soliti, come dimostrano varie inchieste, riesportare armi alle milizie genocidarie in Sudan.
Insomma, se i criminali di guerra chiamano, il porto di Ravenna (e il governo italiano) rispondono.
La situazione è ulteriormente aggravata dal transito di componenti di cannoni, artiglieria, forgiati non sottoposti al codice IMDG (merci pericolose) e di cui non abbiamo traccia, così come dalle armi che da Ravenna vanno verso paesi comunitari, per poi finire anche in Ucraina.
Nonostante le promesse sbandierate ai 4 venti, il codice etico di Sapir resta invariato e il Comune non risponde alle domande dei giornalisti sulla promessa settembrina "mai più armi nel porto".
Il 28 novembre abbiamo esercitato il nostro diritto di manifestare e di opporci alla guerra, intervenendo dove le istituzioni finora non hanno agito. Visto che non è stato posto alcun freno al traffico di armi, spetta alla società civile costruire un embargo popolare: un blocco dal basso contro ogni collaborazione con la filiera bellica - nelle fabbriche, nei porti, nelle università e in ogni ambito pubblico. Un impegno collettivo perché dal nostro territorio non passi alcun materiale d’armamento.
Chiediamo alla Regione Emilia Romagna e ai Comuni coinvolti azioni concrete per far cessare il commercio e il transito di armi verso Israele e la militarizzazione dei territori.
Tra queste: l’istituzione di un Osservatorio permanente con cittadini e istituzioni sul traffico delle armi, che sia preventivamente informato su ogni passaggio di armi o dual use (export, import, transito) nel porto di Ravenna; l’uscita da progetti con aziende di armamenti che vendono armi a Israele, quindi dal Consorzio Anser e dal progetto Eris promosso da Thales Alenia che dovrebbe avere la sua sede a Forlì, nonché l’uscita dal progetto Undersec, sul quale ultimamente è sceso un inquietante velo di silenzio.
Con questo comunicato stampa vogliamo anche dire che a bloccare i container il 28 novembre al porto di Ravenna, c’eravamo tutti e tutte, e la criminalizzazione anche di un* sol* di noi è la criminalizzazione di tutte e tutti, e rigettiamo ogni tentativo di distinguere fra manifestanti buoni e cattivi.
La legittimità della nostra azione sta scritta nella Costituzione del nostro paese. Riteniamo che l’operato delle Forze dell’Ordine e delle Istituzioni debba essere teso a far rispettare leggi quali la 185/1990 e l’Articolo 11 della Costituzione, non a reprimere chi si mobilita per farle applicare e per costruire un futuro di pace, sostenibilità e benessere per i nostri territori.
Esprimiamo infine la nostra più totale solidarietà a chi oggi subisce la repressione dello Stato per aver scelto di protestare contro il genocidio e di resistere: come Tarek, Ahmad Salem, Anan, Ali, Mansour e all'imam Shahin, che rischia di essere deportato in Egitto (dove la tortura è endemica) per un'opinione.
Non ci arrenderemo al traffico di morte, al genocidio e alla repressione e continueremo a lottare per supportare l’autoderminazione del popolo palestinese e la sua liberazione
Pondus Libra APS Arci
Coordinamento ravennate Per il Clima Fuori dal Fossile
Rimini4Gaza
Giovani Palestinesi d’Italia
La comune
Partito dei Carc Emilia Romagna
SGB Ravenna
Resistenza Popolare di Ravenna
Faenza per la Palestina
Bds Faenza
Potere al Popolo Ravenna
Ravenna in Comune
Sanitari per Gaza di Ravenna
Mercoledì per la Palestina
Presidio per la Palestina di Cesena
Ecomapuche
Osa
Associazione Femminile Maschile Plurale di Ravenna
USB Romagna
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